Comitato Dora/Spina3

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Intervento del Comitato al convegno "Torino: le città annunciate e gli incubi reali"

(Convegno organizzato il 30.9.2005 da Italia Nostra, Legambiente e ProNatura di Torino)

La “Spina tre” di Torino

Tra la via Verolengo e i corsi Umbria, Potenza e Principe Oddone un milione di metri quadri urbani erano da tempo occupati da grandi fabbriche: Michelin, Savigliano, Ferriere e Paracchi.

La dismissione di queste fabbriche, che ha comportato la perdita di migliaia di posti di lavoro, ha dato quantomeno una grande opportunità di collegare tra loro quartieri storicamente separati (San Donato da una parte, Borgo Vittoria, Madonna di Campagna e Lucento dall’altra) e di migliorarne la qualità della vita.

La domanda è: questa opportunità è stata raccolta dal progetto di Spina Tre, così come deciso e messo in pratica dal Comune?

L’attività, ormai quasi annuale, del Comitato Dora-Spina tre, nato su iniziativa e con la partecipazione di abitanti delle case circostanti il cosiddetto Parco Dora, sembra far rispondere finora di no.

Il Comitato Dora–Spina tre è sorto quando il materializzarsi dei primi cantieri ha lasciato presagire l’ampiezza dell’intervento urbanistico previsto e contemporaneamente il rischio che esso fosse finalizzato al prossimo evento olimpico e alla speculazione immobiliare, tralasciando, o mettendo in secondo piano e in un futuro indefinito, gli storici bisogni dei quartieri preesistenti (luoghi d’aggregazione e di sport, strutture sanitarie, verde pubblico ...).

In quella fase, si parla degli ultimi mesi dello scorso anno, le prime riunioni del Comitato hanno forzatamente ed utilmente, dovuto indirizzarsi, perché così hanno richiesto i numerosi cittadini intervenuti, a problemi che sembrano estremamente pratici, ma denotano la mancanza d’informazione su ciò che avveniva sul territorio e soprattutto il disinteresse dell’Amministrazione comunale, nelle sue varie articolazioni e fino alle Circoscrizioni, rispetto all’impatto quotidiano sugli abitanti dei tanti cantieri contemporaneamente in funzione.

Si parla qui, innanzitutto, di quantità e qualità delle polveri sollevate dalle demolizioni degli stabilimenti e dal movimento di decine di camion, dove quasi mai sono state applicate le norme vigenti che prevedono di bagnare il terriccio di scavo.

Ma anche di mancata ricezione del segnale televisivo (peggiorato dal crescere dei grattacieli prospicienti) o della scomparsa dei parcheggi (a causa dell’ampliarsi della zone di cantiere) e del fioccare di multe, che s’aggiungevano ai disagi dei rumori dei lavori, dell’inquinamento prodotto da tanti mezzi in movimento, delle polveri che

entravano negli alloggi e certamente non favorivano la salute di bambini, anziani e portatori di malattie polmonari.

Tutto ciò lasciava già capire che non era per niente praticato da parte dell’Aministrazione comunale, sempre che fosse mai stato previsto, alcun vero e costante controllo dell’impatto dei cantieri sui residenti.

E nemmeno fosse messa in campo una qualche idea di futura compensazione dell’odierno disagio: in zone, come quella di Borgo Vittoria Sud, vissute per decenni a ridosso di grandi fabbriche inquinanti ed oggi tartassate dal vivere in pratica dentro un immenso cantiere, si sarebbe potuto spendere, quantomeno, la previsione di costruire, in tempi non biblici e per il possibile contestuali a quelli delle nuove edificazioni, servizi pubblici quali asili, scuole, centri d’incontro per giovani ed anziani, campi sportivi, strutture sanitarie, piste ciclabili; tutte cose necessarie e attese da tempo.

Invece le risposte istituzionali, quando sono venute e non si sono limitate ad una stucchevole difesa del progetto, in tutta una prima fase hanno solamente evocato la bellezza del prossimo previsto parco Dora, come se questo da solo fosse bastato a tranquillizzare la popolazione.

Ciò ha contribuito a far crescere la disillusione, se non il dissenso della gente che abita nei dintorni: si sperava in un netto miglioramento ambientale, e invece dalle proprie finestre si vedono nascere, soprattutto nella zona nord del cosiddetto parco, notevoli brutture architettoniche che fanno perdere quel panorama delle montagne che è quantomeno una piccola soddisfazione per chi vive in una grande città.

Contemporaneamente non si hanno risposte chiare e positive sulla dotazione di servizi pubblici della zona e lo stesso “parco” sempre più si dimostra strumentale alla speculazione edilizia.

Di questa disillusione sono testimonianza concreta le molte case di via Orvieto e di via Tesso dove compaiono i cartelli “vendesi appartamento”.

Il 5 marzo si svolge la manifestazione indetta dal Comitato Dora – Spina tre, effettuata in un luogo simbolico come l’incrocio tra via Verolengo e via Orvieto: davanti agli alberi abbattuti per far posto al cantiere del villaggio per i giornalisti olimpici (alberi oggi in pericolo di vita) e di fronte ai muri di quella ex-Superga che rappresenta un esempio storico di progetto urbanistico fallito, che non ha salvato né i posti di lavoro, né, finora, l’utilizzo sociale dei locali destinati al pubblico (il previsto poliambulatorio sanitario è in ritardo, secondo le ultime promesse del Sindaco, di almeno 4 anni rispetto alle previsioni iniziali).

Dopo quella manifestazione, il Comitato produce una proposta complessiva che cerca di mettere assieme i problemi quotidiani d’impatto dei cantieri (si propone l’istituzione di un comitato di monitoraggio territoriale con precise responsabilità a cui chiedere giornalmente il rispetto degli impegni ambientali) a quelli di prospettiva, che intrecciano le questioni del parco e delle strutture pubbliche.

Viene esplicitamente chiesta un’informazione dettagliata alla popolazione del progetto di Spina Tre.

Quando già il Comitato stesso inizia ad organizzare un’assemblea pubblica, il Comune decide di indirne una; assemblea che si svolge l’otto di giugno allo Sporting Dora di corso Umbria e che vede una grande partecipazione di gente: più di 500 persone, che vogliono, non solo essere informate, ma anche poter dire la loro sulle trasformazioni della città.

Viene contestata, sia dal punto di vista estetico che da quello della loro vivibilità, la cubatura eccessiva di molti dei palazzi costruiti, E poi, la sfasatura temporale tra costruzioni private – immediate - e pubbliche – che, se previste, arriverebbero anni dopo - ; tra abitazioni già assegnate e servizi pubblici che arrivano in tempi molto successivi (purtroppo, non sembra si sia imparato niente dal passato: dai casi lontani delle Vallette o della Falchera, a da quello più vicino, della E27 ed E29 di via Pietro Cossa).

Si valuta certamente utile che a Torino ci sia di un polmone verde centrale di grandi dimensioni, ma si sottolinea la necessità (memori dell’alluvione del 2000) di mettere in sicurezza le sponde della Dora e si avverte, man mano che il “parco” (lo continuiamo a scrivere volutamente tra virgolette) è presentato al pubblico, la sua scarsa qualità.

Proprio perché, lo scrivono alcune sincere delibere comunali, l’area non potrà mai assumere le caratteristiche naturalistiche degli altri parchi torinesi, in quanto irrimediabilmente compromessa dal suo passato industriale.

E quel passato, o lo si abbatte senza pensarci troppo, o lo si mantiene solo perché è troppo dispendioso demolirlo (come la torre di raffreddamento o il capannone ex-strippaggio – di cui è prevista la conservazione del solo scheletro - o, peggio ancora, la tombatura di cemento del corso della Dora, da via Livorno a corso Principe Oddone, cemento che avrebbe dovuto portarsi via l’impresa che ha dismesso l’attività).

Ma in Comune non si ragiona più di tanto nell’utilizzare quel passato per scopi sociali veri: ad esempio destinare una parte delle strutture rimaste della ex-Savigliano, non per un ulteriore inutile centro commerciale, ma per un centro polivalente di quartiere, di aggregazione e di cultura, che conservi anche la memoria del lavoro e delle lotte sociali di quel territorio.

Ciò avrebbe una sua utilità sociale anche nel dare a vecchi e nuovi abitanti un’appartenenza collettiva, sia a chi ha avuto la casa assegnata dal Comune, sia a chi ha acquistato un appartamento dotato di vasca Jacuzzi nelle nuove e tanto pubblicizzate “case nel verde”.

Senza di ciò, è forte il pericolo che si accentui la frattura sociale tra vecchi e (una parte dei) nuovi residenti, i quali ultimi potrebbero esser portati a “rinserrarsi” nelle loro case-fortino dotate anche di alcuni di quei servizi collettivi che devono invece essere diffusi sul territorio e disponibili a tutti.

Oggi come oggi, invece, l’Amministrazione si attarda nel proporre info-point che dovrebbero spiegare, a posteriori, la bellezza del progetto di Spina tre (fornendo quell’informazione che, prima dell’inizio dei lavori, è stata data poco e male), ma dev’essere ancora convinta dell’ovvia necessità di costruire quelle strutture pubbliche necessarie ai vecchi e ai nuovi residenti, strutture per l’istruzione, la salute, lo svago e la cultura.

E, soprattutto, di cominciare a costruirle, dandole oggi la necessaria priorità.

Strutture comuni, lo ripetiamo, a chi già abitava la zona e a chi ci arriva a nuovo, per favorire, non la nascita di un nuovo quartiere a se stante, il ventitreesimo com’è stato definito, ma un intreccio, un’integrazione utile alla coesione sociale, onde evitare nascano zone tra loro fisicamente vicine, ma socialmente molto distanti.

In fin dei conti è anche a questo scopo che erano finalizzati quegli ingenti investimenti statali ed europei utilizzati per il progetto di Spina tre.

A meno che qualcuno in Comune pensi che quei bisogni di cittadinanza debbano essere esauditi quasi esclusivamente da strutture private, magari a pagamento: i negozi e la tanto pubblicizzata piazza del Parco Commerciale Dora, i supermercati Ipercoop e Bennet di via Livorno, le futuribili Gallerie Savigliano di corso Mortara, il grandissimo oratorio e il salone convegni della nuova Curia di via Borgaro.

Dunque è un confronto interessante quello che si svolge sul territorio della Spina Tre: tra l’interesse privato e quello pubblico, tra quello individuale e quello collettivo, tra quello mercantile e quello solidaristico.

E i cittadini che partecipano alle iniziative del Comitato Dora – Spina tre una loro scelta l’hanno fatta e cercano di fare la propria parte nell’aprire uno spazio di partecipazione e di decisionalità collettiva, dal basso, sulle trasformazioni della loro città, perché non venga persa un’altra occasione per renderla più vivibile.

Torino, Spina tre, settembre 2005